Dilettanti in corsa per il titolo

Francesco Rigoni
5 min readMar 8, 2019

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La nazionale di rugby italiana è in piena corsa per vincere il Sei Nazioni, e sabato contro l’Inghilterra si gioca il primato in classifica. Rileggi la frase che ho appena scritto: è tutto vero.

Ovviamente non sto parlando della nazionale maschile, che non vince una partita del Sei Nazioni dal 2015, ma di quella femminile. Ho usato l’avverbio “ovviamente” perché le azzurre ormai hanno abituato bene i loro sostenitori: vantano una striscia positiva di sette risultati utili consecutivi (sei vittorie e un pareggio) iniziata nella storica vittoria dell’anno scorso ottenuta contro il Galles in quel tempio del rugby che è il Millennium Stadium di Cardiff, per arrivare all’altrettanto storica vittoria di due settimane fa al Lanfranchi di Parma contro l’Irlanda (mai battuta nelle precedenti edizioni).

In realtà in tutti questi successi storici non c’è proprio niente di ovvio. Possono semmai essere considerati la naturale conseguenza di una miscela: grande passione, tanto duro lavoro e soprattutto sacrifici straordinari da parte di tutta la squadra, che si possono intuire conoscendo le storie delle ragazze. Le loro storie raccontano già la Storia.

Pensiamo a Sergio Parisse, il capitano della nazionale maschile. Che lavoro fa? Qualche indizio: si allena ogni giorno e gioca ogni domenica; se non è in campo è in palestra; gioca nello Stade Francais, prestigioso club di Parigi, e viene considerato uno dei più forti numero 8 in Europa. La risposta è facile: gioca a rugby.

Ora pensiamo a Manuela Furlan, capitano della nazionale femminile. Indizi: è una ragazza che si allena ogni giorno e gioca ogni domenica; se non è in campo è in palestra; gioca nel Villorba, squadra attualmente prima e imbattuta nel girone 1 della Serie A femminile; è stata inserita più volte nella formazione ideale del Sei Nazioni. Che lavoro fa? Guida i muletti per una ditta di logistica a Treviso.

Si tratta di un tema non nuovo ma sempre attuale, su cui è uscito un bell’articolo su Sportweek del 2 marzo, opportunamente proposto nella settimana della Festa della donna: l’impossibilità di un’atleta italiana di essere considerata professionista. L’atleta donna non è una dilettante, parola messa in un cassetto e anche fuoriluogo per gente che si allena duramente tutti i giorni, ma una non professionista.

Per essere precisi va detto che esistono anche tantissimi sportivi maschi non professionisti. In Italia infatti viene riconosciuto il professionismo solo per gli uomini che praticano calcio, ciclismo, basket e golf.

Non si tratta di un problema (solo) economico: per restare al nostro esempio, Sergio Parisse e Manuela Furlan sono entrambi ufficialmente non professionisti, quindi potremmo ricondurre la differenza di stipendio alla disparità salariale tra uomini e donne, che nel nostro paese esiste ed è molto diffusa in tutti i mestieri. Un altro esempio: il Pallone d’oro 2018, la norvegese Ada Hegerberg che gioca in Francia nel Lione, ha vinto le ultime tre Champions ed è considerata la numero uno al mondo, non supera i 500 mila euro l’anno, come un discreto giocatore della nostra serie B.

Non riconoscere la qualifica di “professionista” ad una persona che lo è nei fatti, significa calpestare i suoi diritti. E in Italia è così per legge.

Bisogna risalire alla legge 91 approvata nel marzo 1981 (trentotto anni fa) e ormai chiaramente inadeguata. I non professionisti non hanno diritto all’assicurazione obbligatoria per gli infortuni e relative cure mediche, a un minimo sindacale di retribuzione, alla copertura previdenziale. Il loro – spesso piccolo – reddito, frutto di fittizi rimborsi spese, premi e indennità, non è assoggettato alla contribuzione INPS né INAIL e addirittura per il fisco va collocato tra i cosiddetti redditi diversi. Al termine della loro carriera sportiva gli atleti non avranno né pensione né TFR. Per le atlete a tutto questo si aggiunge pure l’assenza di tutela in caso di maternità. E di questo le atlete in attività sono terrorizzate, spiega su SW Maurizia Cacciatori, miglior palleggiatrice del mondo nel 1998 e rigorosamente non pro. Se resti incinta puoi anche dire addio alla carriera.

A questa stortura rimedia parzialmente l’appartenenza a gruppi sportivi militari. Questi atleti non hanno stipendi da favola, ma sono tutelati. In Italia sono 1300 e costano sui 40 milioni di euro. Quasi tutto il medagliere olimpico è merito loro. Da questo quadro però sono sostanzialmente esclusi gli sport di squadra. E qui torniamo al big match per il primato nel Sei Nazioni femminile, Inghilterra-Italia.

Le squadre si scontreranno sabato sul campo di Exeter alle 13.05 italiane, la partita verrà trasmessa in diretta-streaming su Eurosport Player e in differita su Eurosport 2.

Considerando i risultati ottenuti fin qui e la classifica attuale si prospetta una bella partita equilibrata. Una lettura così distratta però sarebbe disonesta: se si osserva meglio il lavoro dietro le quinte, i mezzi a disposizione e il bacino di utenza la lotta tra le due formazioni sembra impari.

Le rugbiste inglesi contro cui giocheranno le azzurre sono tutte professioniste, nel senso che sono. state messe sotto contratto dalla federazione, così come le francesi (prossime avversarie dell’Italia a Padova) e le neozelandesi. Forse non è un caso se queste tre squadre sono stabilmente sul podio del ranking mondiale, rispettivamente al secondo, al terzo e al primo posto, confermando le posizioni ottenute nella Coppa del Mondo 2017.

Le prime ad essere consapevoli di tutto questo sono proprio loro, la punta di diamante del rugby italiano: le nostre azzurre. Sono consapevoli dei propri limiti e dei propri punti di forza. Conoscono le storie che le hanno portate ad indossare la maglia della Nazionale. Sanno di rappresentare l’élite del loro movimento. Si ricordano perfettamente di ogni singolo sacrificio che hanno dovuto fare per essere dove sono adesso: qui ed ora, ad un passo dal titolo.

Meriterebbero strumenti in più; nel frattempo continueranno a scrivere la propria storia, arrangiandosi come hanno fatto finora.

Alla fine, il sogno è proprio questo: giocarsi il titolo contro le migliori. E nei sogni tutto è possibile.

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Francesco Rigoni

Leggo, tantissimo e qualunque cosa; un giorno vorrei guadagnarmici da vivere. Amo il cibo, i viaggi, i film e ho un debole per la cancelleria di gran pregio.