L’invisibile è davanti ai tuoi occhi

Cos’ho letto a luglio 2020

Francesco Rigoni
9 min readAug 1, 2020

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“È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva”.
John Keating, L’attimo fuggente

Vorrei partire dai bagni pubblici. Forse ti sarà capitato di vedere al cinema, al centro commerciale, o agli autogrill una lunga fila davanti ai bagni delle donne, cosa che non succede davanti ai bagni degli uomini. Sembra quasi che le donne abbiano un’anomalia per cui non si capisce come mai debbano andare in bagno più spesso e più a lungo. Perché?

In realtà ci sono dei motivi molto semplici, di carattere fisiologico e anatomico: intanto le donne hanno la vescica più piccola e quindi hanno bisogno di orinare più di frequente, e se sono in gravidanza questo problema si accentua; poi le donne hanno le mestruazioni, e in quel periodo se vanno in bagno devono fare delle operazioni che durano un po’ di più; le donne sono anche quelle che spesso accompagnano in bagno i bambini o gli anziani o i disabili.

Ci sono dei motivi abbastanza chiari e certificati che fanno si che la progettazione dei bagni con la metratura uguale tra maschi e femmine non sia una cosa paritaria, ma sia una cosa che ignora completamente le differenze fisiologiche tra uomini e donne.

Caroline Criado Perez si serve di altri esempi come questo nel suo Invisibili per raccontarci come il nostro mondo ignori le donne in ogni campo, dati alla mano.

  • Non esiste una donna non lavoratrice, al massimo esiste una donna non pagata per il proprio lavoro. In tutto il mondo, il 75 per cento del lavoro non retribuito è svolto dalle donne.
  • Le donne lavorano ben più di 40 ore alla settimana, sempre. Questo è un rischio per la salute non indifferente: in qualsiasi fascia d’età le donne hanno livelli di stress, ansia e depressione superiori a quelli dei maschi.
  • Le donne si sobbarcano in media il 61 per cento del lavoro domestico. In India le faccende di casa assorbono cinque delle sei ore quotidiane di lavoro non retribuito delle donne, mentre i maschi gli dedicano soltanto 13 minuti.
  • La quantità di tempo dedicata ogni giorno al lavoro gratuito va dalle tre alle sei ore, contro una media maschile che varia da mezz’ora a due ore.
  • Negli USA, il congedo di maternità non è retribuito. Ogni lavoratrice ha diritto a 12 settimane di congedo non retribuito, ma la norma prevede svariate eccezioni. La maternità non pagata è quindi garantita solo al 60 per cento delle lavoratrici.
  • Per conciliare nel migliore dei modi lavoro retribuito e responsabilità di accudimento, le donne scelgono il part-time: stiamo parlando del 42 per cento delle lavoratrici in Gran Bretagna, contro l’1 per cento dei maschi.
  • Avere un marito comporta per ogni donna 7 ore settimanali di lavoro domestico in più.
  • I software di riconoscimento vocale hanno il 70 per cento di probabilità in più di riconoscere le voci maschili.
  • Le automobili sono disegnate pensando agli uomini, ne consegue che le donne hanno il 47 per cento di probabilità in più di riportare danni gravi dopo un incidente.
  • I media imbarcano pochissime donne: tre quarti degli esperti coinvolti sono uomini e le donne rappresentano solo il 24 per cento delle persone rilevate dalla stampa.

Come se non bastasse, la crisi da Covid è pagata soprattutto dalle donne, divise tra lavoro, cura dei figli e sensi di colpa.

Il nostro mondo ignora le donne in ogni campo, negli ambienti di lavoro, perfino nella temperatura standard che viene scelta per gli uffici, o nella misura con cui vengono costruiti i cellulari. È una comunità costruita a misura d’uomo, ma non nel senso di essere umano: proprio nel senso di maschio.

Tutti i dati medici, economici, culturali sono raccolti da uomini e si basano sul corpo maschile, che è il metro di riferimento: l’unità di misura di ogni ricerca è un individuo maschio di razza bianca caucasica tra i 25 e i 30 anni che pesa 70 kg.

Nei testi scolastici la presenza maschile è dominante con una proporzione di tre a uno rispetto a quella femminile e perfino nei videogiochi la maggior parte dei protagonisti sono uomini (le donne sono solo il 3,3 per cento). Per le eroine c’è ancora molta strada da fare.

Questo mese, visto il clima, avevo in mente di consigliare un bel malloppo di libri da spiaggia: il classico giallo dell’estate, la spy-story da ombrellone, la commedia romantica da leggere in riva al mare, il libro leggero che si può interrompere quando si vuole e non si perde mai il filo.

A inizio mese però sono stato invitato dalla Gioy a partecipare ad un dibattito sul ruolo della donna. L’argomento mi sta molto a cuore, ma sarei stato molto presuntuoso a pensare di saperne abbastanza, così mi sono messo a studiare e ho riprogrammato le letture del mese.

Tutto ciò di cui non possiamo avere esperienza diretta di fatto non esiste: compresa la morte (la propria, beninteso).

Ho trovato questa frase appuntata nel mio quaderno, ma non ho scritto da dove l’ho presa. È comunque significativa: mi insegna che bisognerebbe sempre sottoporre al vaglio dell’esperienza le nostre percezioni, anche tenendo conto del contesto; bisognerebbe essere sempre disponibili a ricredersi di quelle che ci appaiono come certezze solo perché non abbiamo abbastanza termini di paragone.

Molte delle ingiustizie denunciate in Invisibili dalla Criado Perez sono state magicamente risolte quando una donna è salita in una posizione di potere. Se al potere ci sono solo uomini, ai problemi delle donne non ci pensano nemmeno perchè, molto semplicemente, loro di quei problemi non si accorgono nemmeno. Anche se sono i problemi di metà della popoloazione mondiale, sono i problemi dell’altra metà del mondo.

Per questo la diversità ai vertici è così importante. È incredibile quanti piccoli — e grandi — problemi del mondo vengano eliminati dalla più semplice delle soluzioni: la presenza femminile.

Photo by lucia on Unsplash

Viviamo in un mondo dominato dai codici di quelli che sono un pensiero e un atteggiamento maschili: controllo, competizione, aggressività. Una mentalità in bianco e nero che ha contribuito a creare molti dei problemi che oggi viviamo, dalle guerre all’ingiustizia economica alla noncuranza di fronte ai rischi e agli scandali.

Lilli Gruber, giornalista che si batte da sempre per i diritti delle donne, nel suo bel pamphlet intitolato Basta! individua tre “V” al cuore della questione — volgarità, violenza, visibilità — che sono il risultato di una virilità impotente.

La forma è sostanza e la forma della nostra democrazia e della nostra convivenza civile, di questi tempi, lascia a desiderare.

In ogni campo — scienza, politica, economia, finanza, sport — bisogna cercare le più brave. Squarciare il velo dell’invisibilità, proiettare una luce forte sulla realtà, e mettere in campo chi può far vincere la nostra squadra. Non quella femminile, ma quella di tutti.

“If you know people who know me
You might want them to speak
To tell you ‘bout the girl or the woman they know
More than you think you know about me
More than you think you know me”.

Se facciamo di continuo una cosa, diventa normale. Se vediamo di continuo una cosa, diventa normale. Se continuiamo a vedere solo uomini a capo di grandi aziende, comincia a sembrarci “naturale” che solo gli uomini possano guidare le grandi aziende.

Gli uomini governano, nel vero senso della parola, il mondo. La cosa poteva avere senso mille anni fa, quando gli uomini vivevano in un mondo in cui la forza fisica era la qualità più importante per sopravvivere. La persona fisicamente più forte aveva più probabilità di diventare il capo. E gli uomini di solito sono fisicamente più forti (è ovvio che esistono molte eccezioni). Oggi viviamo in un mondo profondamente diverso.

La persona più qualificata per comandare NON è quella più forte. È la più intelligente, la più perspicace, la più creativa, la più innovativa. E non esistono ormoni per queste qualità. Un uomo ha le stesse probabilità di una donna di essere intelligente, innovativo, creativo. Ci siamo evoluti. Ma le nostre idee sul genere non si sono evolute molto.

È facile dire: “le donne possono rifiutare tutto questo”. Ma la realtà è più difficile, più complessa. Siamo tutti esseri sociali. Interiorizziamo idee che derivano dalla società in cui siamo inseriti.

Lo dimostra anche il nostro linguaggio. Si può dire ministra? E ingegnera? Esiste il femminile di questore? È meglio avvocata o avvocatessa? E’ preferibile donna sindaco o donna ingegnere?

Si incontrano tante resistenze a usare i termini corretti, anche nei media, anche da parte delle donne. Le ragioni sono più d’una. Secondo Cecilia Robustelli, docente di Linguistica italiana all’Università di Modena, consulente dell’Accademia della Crusca e autrice di Donne, grammatica e media:

molti di questi termini sono nuovi, risultano poco familiari e di conseguenza sembrano difficili da usare: chirurga, prefetta, sindaca fanno riferimento a ruoli professionali e istituzionali che le donne rivestono da pochissimo tempo. Poi aleggia molta incertezza riguardo al fatto che si tratti di forme corrette (e questo la dice lunga sulla conoscenza della grammatica italiana!). Credo infine che questa resistenza riveli, specialmente da parte degli uomini, una diffidenza ancora diffusa ad accettare il riconoscimento di uno status sociale di piena dignità socio-professionale per le donne e, in termini più generali, una profonda resistenza a mutare i modelli di genere tradizionali. Da parte delle donne, invece, temo che la preferenza per i titoli professionali di genere maschile risieda nella convinzione che il titolo maschile “valga di più” di quello femminile”.

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Insegniamo alle femmine che in un rapporto è più normale che sia la donna ad accettare un compromesso. Insegniamo alle ragazze a considerarsi in competizione tra loro, non sul piano del lavoro o del talento, cosa che secondo me sarebbe positiva, ma per guadagnare l’attenzione degli uomini.

Le facciamo sentire in colpa per il solo fatto di essere nate femmine. E così le ragazze diventano donne incapaci di ammettere che provano desideri.

Il problema del genere è che prescrive come dovremmo essere invece di riconoscere come siamo. Quanto saremmo più felici, quanto ci sentiremmo più liberi di essere chi siamo veramente, senza il peso delle aspettative legate al genere. A contare ancora di più sono il nostro atteggiamento, la nostra mentalità. Immagina se sembrasse normale e naturale che sia il marito ad occuparsi dei figli.

Molti di noi pensano che, meno si mostra femminile, più una donna ha possibilità di essere presa sul serio. Chimamanda Ngozi Adichie nel suo fondamentale Dovremmo essere tutti femministi risponde così: “Ho deciso di non scusarmi più per la mia femminilità. E voglio essere rispettata con tutte le mie peculiarità di donna. Perchè me lo merito”. E poi aggiunge: “Gli uomini devono prendere la parola in tutti questi casi apparentemente poco gravi”.

Ho imparato che la cultura non fa le persone. Sono le persone che fanno la cultura. Se è vero che la piena umanità delle donne non fa parte della nostra cultura, allora possiamo e dobbiamo far si che lo diventi.

Si può definire femminista una persona che crede nell’eguaglianza sociale, politica ed economica dei sessi. Ma è ancora più bella la definizione che dà Chimamanda Ngozi Adichie: “Femminista è un uomo o una donna che dice si, esiste un problema con il genere così com’è concepito oggi e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio. Tutti noi, donne e uomini, dobbiamo fare meglio”.

Photo by Jen Theodore on Unsplash

P.S.

Tre libri “da spiaggia” consigliati velocemente, che sto mese sono già andato lunghissimo: Il Colibrì di Sandro Veronesi, ha vinto lo Strega e ne trovi recensioni quasi ovunque; Il borghese Pellegrino di Marco Malvaldi, un giallo “a camera chiusa” risolto grazie al re dei golosi Pellegrino Artusi; infine Il Mediterraneo in barca di Georges Simenon, dieci brevi reportage dello scrittore belga dal Mare Nostrum.

Libri comprati: Oblio, David Foster Wallace, Einaudi; 1945, Volker Ullrich, Feltrinelli; Il borghese Pellegrino, Marco Malvaldi, Sellerio; Il pedante in cucina, Julian Barnes, Einaudi; La locanda del gatto nero, Yokomizo Seishi, Sellerio; Persone normali, Sally Rooney, Einaudi; Il decoro, David Leavitt, Sem; L’evoluzione della bellezza, Richard O. Prum, Adelphi; Momenti trascurabili vol.3, Francesco Piccolo, Einaudi; Storie americane, Joyce Carol Oates, Marco Tropea editore; Dieci dicembre, George Saunders, Minimum fax; Una buona scuola, Richard Yates, Minimum fax; La tribù del calcio, Desmond Morris, Rizzoli; L’incubo di Hill House, Shirley Jackson, Adelphi; Amanti e regine, Benedetta Craveri, Adelphi; In difesa del cibo, Michael Pollan, Adelphi; L’apprendista di Duddy Kravitz, Mordecai Richler, Adelphi; Felici i felici, Yasmina Reza, Adelphi; L’invenzione della natura, Andrea Wulf, Luiss.

Libri letti: Oreo, Fran Ross, Sur; Basta!, Lilli Gruber, Solferino; Invisibili, Caroline Criado Perez, Einaudi; Dovremmo essere tutti femministi, Chimamanda Ngozi Adichie, Einaudi; Di calcio non si parla, Francesca Serafini, Bompiani; L’ho uccisa perchè l’amavo, Lipperini + Murgia, Laterza; Enciclopedia della donna, Valeria Parrella, Einaudi; Red mirror, Simone Pieranni, Laterza; Il mediterraneo in barca, George Simenon, Adelphi; Il borghese Pellegrino, Marco Malvaldi, Sellerio; Il Colibrì, Sandro Veronesi, La nave di Teseo; Onori, Rachel Cusk, Einaudi; Accabadora, Michela Murgia, Einaudi.

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Francesco Rigoni

Leggo, tantissimo e qualunque cosa; un giorno vorrei guadagnarmici da vivere. Amo il cibo, i viaggi, i film e ho un debole per la cancelleria di gran pregio.