Ma un po’ di figa qua?
Dopo le elezioni americane di metà mandato il Congresso è stato inondato di rosa. In Italia siamo ancora al bianco e nero, ma forse qualcuno comincia ad aprire l’astuccio dei colori.
In un video reso celebre dalla Gialappa’s a Mai dire gol e poi diventato presto virale sul web si vede un giornalista che intervista il pilota Domenico “Mimmo” Schiattarella. Alle sue spalle si intravede un personaggio che si aggira per i box. Si tratta di Gianni Giudici, ex pilota automobilistico e “storico dei motori”. Giudici non si accorge dell’intervista in corso, né tantomeno delle telecamere accese, al punto che dopo aver scambiato due parole con un meccanico ad un certo punto si gira e — candidamente — fa ad alta voce la domanda che l’avrebbe reso un meme immortale: “Un po’ di figa qua?”.
Giudici utilizza una sineddoche: una figura retorica che consiste nel conferire a una parola un significato più o meno esteso di quello che normalmente le è proprio. La parte per il tutto. In quel momento si stava chiedendo: “Dove sono le donne?”. Oggi lo ricordo perché la sua domanda mi sembra — anche se decontestualizzata — più attuale che mai. Quindi: “Dove sono le donne?”
Anche se ci sono ancora alcuni conteggi in corso, dalle ultime elezioni americane è emerso un chiaro vincitore: la rappresentanza. In particolare, la rappresentanza femminile. Sono state quasi 4.000 le donne che hanno corso per le elezioni federali e statali: un numero senza precedenti.
Nella Camera sono già state confermate 102 donne, con altre sette ancora in lizza. Al Senato ci saranno 23 donne (lo stesso numero di adesso), e un’altra potrebbe unirsi a loro: 24 stabilirà un nuovo record. Le donne al Congresso sfiorano potenzialmente il 25% — non abbastanza, ok, ma è comunque un dato eccezionale. Inoltre ci saranno almeno nove donne governatrici (forse 10, a seconda del risultato delle elezioni della Georgia).
Nel frattempo, dei 138 uomini eletti o nominati che sono stati accusati di molestie sessuali nell’ultimo ciclo elettorale, più di 100 hanno lasciato l’incarico, travolti dalla scia di #MeToo. Di questi, in tre hanno perso in queste elezioni. Due di loro contro due donne.
Tra le donne vittoriose della scorsa settimana ci sono Sharice Davids e Debra Haaland, le prime due donne native americane ad essere elette al Congresso. Rashida Tlaib e Ilhan Omar (una rifugiata somala) sono le prime due donne musulmane ad essere elette alla Camera. Angie Craig sarà la prima madre apertamente gay ad entrare al Congresso.
Tali progressi non si vedono solo negli Stati Uniti (dove comunque continua ad esserci Donald Trump come presidente). In Nuova Zelanda quest’anno il primo ministro Jacinda Ardern ha partorito mentre era in carica. A Londra la scorsa settimana 120 donne di tutto il mondo si sono radunate nella Camera dei Comuni per celebrare 100 anni da quando le donne hanno ottenuto il diritto di voto — e la possibilità di essere elette — nel Regno Unito. Venivano dal Gambia, dall’Afghanistan e da oltre 80 altri paesi.
E in Italia? Nel governo gialloverde ci sono solo cinque donne su 18 ministri, nessuna con ruoli di primissimo piano. Nell’opposizione cambia poco: dopo il governo 50/50 di Renzi c’è stato un arretramento, e alle prossime primarie del PD non ci sarà nessuna candidata donna. Il “tetto di cristallo” è trasversale, ma a sinistra stupisce di più per chi si riconosce nei valori di uguaglianza, solidarietà, inclusione.
Anche quando ci sono donne in posizione di potere è perché sono legate ad un rapporto di fiducia col capo, e da queste supposizioni alle battute squallide, disgustose e a senso unico il passo è brevissimo. È stato così per la Boschi ed è così anche dentro Forza Italia — che pure appare il partito che oggi ha più donne in posizione di comando: Casellati presidente del Senato, Carfagna vicepresidente della Camera, Bernini e Gelmini capogruppo. Nella politica italiana c’è troppo testosterone.
Eppure qualcosa si muove. Sabato scorso a Torino sono scese in piazza 50mila persone per la Tav: l’organizzazione della manifestazione è stata tutta al femminile. In precedenza sei donne avevano coniato l’hashtag #RomaDiceBasta e dato vita a un flash mob contro le politiche della sindaca Virginia Raggi. A Milano per dire no alla visita del premier ungherese Orban hanno manifestato le opposizioni: tante le donne in piazza.
Intellettuali e attiviste utilizzano i movimenti per rompere “il tetto di cristallo” che le allontana dai vertici del potere. È una nuova politica fatta da donne che la sinistra sembra non vedere. Sono donne che emergono perché scelgono il fare, l’impegno civile, hanno senso pratico. Mentre i litigi li fanno di solito gli uomini.
Mara Carfagna — intervistata da Repubblica— è d’accordo nel giudicare l’attuale fase come un arretramento, perché mentre negli Usa “una nuova ondata al femminile trasversale ha portato all’affermazione elettorale di tante donne” e “a Torino e a Roma, cittadine determinate e innamorate delle loro città hanno organizzato una protesta contro il degrado targato M5S, nella politica italiana assistiamo ad una involuzione: abbiamo il parlamento più rosa della storia, mentre il governo si potrebbe definire, per accenti e azioni, indifferente e perfino poco amico delle donne”.
Questa settimana il New Yorker ha voluto celebrare l’ondata rosa delle elezioni americane con una bellissima copertina: in una stanza grigia, che assomiglia all’interno di uno di quei club esclusivi riservati agli uomini, si spalanca una porta ed entrano le donne, portando i colori.
Le vittorie di queste donne sono più di un mero guadagno per la loro fazione. Sono la prova del cambiamento. Il progresso politico verso l’uguaglianza è tanto incrementale quanto inesorabile. Una battaglia alla volta, la guerra viene vinta. È giunto il momento di decidere da che parte stare. Sarebbe l’ora di cominciare ad usare tutti i colori che abbiamo a disposizione.