L’educazione della verza
Cos’ho letto a marzo 2021
Il peggior insulto per mia sorella Beatrice è darle della maleducata. Se devi prendertela con lei, dice, allora insulta me, non i miei genitori: la parola male-educata sposta l’attenzione, e lei lo trova ingiusto.
Questa caratteristica racconta almeno due cose di Beatrice: la grande attenzione che lei pone sulle parole, anche su quelle che a volte diciamo senza pensarci troppo; e il suo forte senso di responsabilità. Tutto questo le fa onore.
Il concetto su cui vorrei concentrarmi è proprio l’educazione. Con educazione non intendo solo il fatto di non dire parolacce e stare composti a tavola: comprende vari aspetti socio culturali che poi, sommati, ci portano allo stato attuale delle cose.
Una delle mie espressioni venete preferite dice che “da na verza nasse na verza”. Sono quello che sono oggi perché ho ricevuto determinati stimoli che mi hanno fatto andare in una direzione invece che in un altra, ho fatto certe scelte e non altre, eccetera.
Tutto questo percorso è determinato in prima battuta sicuramente dalla famiglia, ma non solo (la Bea sarà felice che in parte deresponsabilizzo i genitori). È determinante anche il contesto in cui si cresce, gli amici con cui si esce, i maestri e i professori che si incontrano a scuola.
L’educazione è in continuo mutamento, va continuamente coltivata e alimentata. Una persona maleducata può diventare beneducata e viceversa. Nella giornata giusta posso passare da un estremo all’altro in pochi minuti: anche qui, come sempre, sono fondamentali gli input esterni e la disponibilità interna.
Sono dell’idea che ignorante non sia un’insulto, ma la descrizione di un attimo: sta ad ognuno di noi decidere quanto farlo durare. Nessuno nasce imparato, all’inizio siamo tutti ignoranti. Il processo che ci porta, prima di tutto, a farci prendere coscienza della nostra ignoranza e solo dopo, forse, a imparare qualcosa, si chiama educazione. È un processo che ci costa tempo, energie e soldi, e che non tutti — legittimamente — hanno voglia di intraprendere.
A questo si potrebbe collegare un discorso sull’effetto Dunning Kruger (l’insidioso cortocircuito mentale che condanna chi è incompetente a non accorgersi della sua incompetenza), o sulla sindrome dell’impostore (quella di chi ha ottenuto ampi e meritati riconoscimenti del proprio valore ma si sente indegno o immeritevole), ma ti lascio i link a due articoli di Martina Testa che è più brava di me.
Mi interessa notare come siano le donne, specie quelle che lavorano in ambienti di lavoro prettamente maschili, a soffrire di più la sindrome dell’impostore; viceversa è una caratteristica prettamente maschile il mansplaining (che ho trovato tradotto come minchiarimento), ossia l’irresistibile tentazione di spiegarti le cose, soprattutto se sei una donna, dando per scontato che ne sai meno di lui (il fatto che lui magari sia ignorante in quell’argomento è del tutto irrilevante).
Non è la prima volta che parlo di queste cose (non sarà l’ultima, ci tengo). La scorsa estate mi è capitato di parlarne anche sopra un palco, insieme proprio a mia sorella Beatrice, e dovevamo morderci la lingua per evitare di parlarci sopra per dire le stesse cose. D’altronde questo mio interesse è forse merito di mia gemella Maria, che mi ha obbligato a fare i conti con “l’altro da me” da ben prima che cominciassi a respirare.
“In fin dei conti che cosa sono due sorelle, se non un’unica persona. Vengono dallo stesso posto, hanno respirato la stessa aria nella stessa stanza, durante i giochi e nella notte, hanno giocato insieme nella vasca da bagno, nella stessa acqua, si sono parlate senza aver bisogno di parlarsi almeno un milione di volte. Hanno combattuto, amato, disprezzato e subìto lo stesso tragico, colpevole, incredibile, furibondo amore che lega tutti i figli ai genitori.”
Antonella Lattanzi.
Sono un privilegiato e ne sono consapevole (è già una roba), per questo non posso fare a meno di sentirmi un impostore quando parlo di tematiche femminili. Per questo ho festeggiato il mese dedicato alla storia della donna coltivando la mia educazione e leggendo solo libri scritti da donne.
L’ultima frase che ho scritto può sembrare abbastanza strana se non si considera che in Italia nell’editoria si sviluppa uno dei paradossi più strani del mondo contemporaneo: le donne leggono, ma non scrivono libri.
Il 5 luglio 2018 Helena Janeczek vince il premio Strega con La ragazza con la Leica, una biografia della fotografa Gerda Taro. Erano quindici anni che il premio non veniva assegnato a una donna, l’ultima volta era stata Melania Mazzucco con Vita nel 2003. La vittoria di Janeczek è un evento straordinario, perché fra i vincitori delle settantuno edizioni del premio ci sono solo undici donne, e perché sembra aprire la strada a molte altre autrici nei più importanti premi letterari del nostro paese. Quest’anno ci sono sette donne in dozzina, vedremo.
Pensa al ruolo delle donne nel consumo dei prodotti culturali. Prendi qualsiasi statistica su questa fetta di consumi: chi legge romanzi, chi va al cinema, chi si iscrive a facoltà umanistiche? Sono soprattutto donne. Sono loro le principali consumatrici degli oltremondo della cultura, come vengono definiti da Alessandro Baricco in The Game.
Se oggi mi guardo intorno vedo che le donne sono le più colpite dalla pandemia in termini di perdita del lavoro e di indipendenza economica (si parla di shecession, recessione al femminile), vedo i redditi delle madri che si riducono dopo la gravidanza, vedo i cosiddetti “compiti di cura” che vengono ancora oggi riversati sempre e solo sulle spalle delle donne, donne che ogni giorno vengono insultate da frasi totalmente fuori luogo. Sono solo parole? No.
Vedo donne che vengono continuamente uccise da uomini, nonostante le richieste di aiuto: l’anno scorso è morta una donna ogni tre giorni. Ma ti immagini di cosa parleremmo se le donne uccidessero un uomo ogni tre giorni? Anzi: se la mafia, o il terrorismo islamico, uccidessero ogni tre giorni?
In Inghilterra è diventato un caso nazionale l’omicidio di Sarah Everard, uccisa da un poliziotto mentre tornava a casa, in una via illuminata del quartiere dove abitava: uccisa dal sistema che avrebbe dovuto proteggerla. La lotta femminista nel 2021 è ancora una lotta per la sopravvivenza.
Anche questi episodi contribuiscono a creare, o a rafforzare, una società dove le donne sono meno pagate, non accedono a posizioni di leadership, subiscono violenza, vengono trattate come oggetti.
Una società in cui i governi decidono delle loro vite e dei loro corpi.
Governi che non sono mai rappresentativi delle eletrrici: anche il governo Draghi è un club per maschietti: nel suo gabinetto ci sono 8 donne su 24. E si ha un bel dire di voler “superare il farisaico sistema delle quote rosa”. Neanche a me piace il sistema delle quote — che tra l’altro, lo dico per la Bea e per chi apprezza le definizioni esatte, si chiamano quote di genere, perché valgono anche nel caso rarissimo in cui ci fossero troppe donne e pochi maschi; ma a chi dice che sono inutili, chiedo: che alternative ci sono?
Il potere maschilista è un cancro con metastasi che si diffondono ovunque. Le bambine e i bambini di oggi hanno dei modelli in cui immedesimarsi? In Germania una bambina non ha nessun problema a pensarsi cancelliera, mentre in Italia difficilmente si immaginerà prima ministra, o al Quirinale.
Mario Draghi è certamente una brava persona, ma su alcuni temi è un grande ignorante. Per questo è fondamentale avere una squadra di governo variegata: altrimenti Draghi, che non ha mai avuto le mestruazioni in vita sua, non saprà mai che in Italia si paga un IVA al 22% sugli assorbenti, mentre invece saprà che comprando un tartufo l’IVA corrisponde al 5%. L’assorbente è un bene di lusso, il tartufo è un bene essenziale. Se ti circondi di maschi bianchi etero sessantenni, certe cose non le vedi nemmeno col binocolo.
A me sembra ridicolo uno come Simone Pillon, senatore della Lega, che si permette di dire che il ddl Zan contro l’omolesbotransfobia non è una priorità per il Paese. Al massimo può non essere una priorità per lui, ma in quanto organizzatore dei vari Family Day a me sembra l’ultimo che possa avere diritto di parola su questo tema. Probabilmente è terrorizzato, in quanto omofobo. Che poi si sa che gli omofobi hanno segretamente una gran voglia di cazzo.
Poi, per carità. L’altro giorno ho visto un film di cui non ricordo il titolo preciso, perché mio fratello Giovanni l’ha rinominato Harry Potter senza Harry Potter, 2 e lo trovo perfetto. Il protagonista, che di mestiere alleva animali fantastici, ad un certo punto pronuncia questa frase, che mi sono segnato: “Non ci sono creature strane, solo persone miopi”.
Dobbiamo aprire gli occhi e renderci conto che viviamo in delle gabbie che ci siamo costruiti da soli. La buona notizia è che come le abbiamo costruite possiamo anche abbatterle, per esempio cominciando a metterci in testa che i diritti delle donne sono diritti di tutti.
Carla Lonzi ha scritto che “Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere”. Non dare autorevolezza alla voce delle donne significa sminuirle. Anche gli uomini hanno bisogno di sentire e ascoltare la voce delle donne raccontata dalle donne. Dobbiamo renderci conto che c’è (ancora) un pregiudizio nelle nostre scelte.
A proposito, prima ho detto una bugia: non è vero che a marzo ho letto solo libri scritti da donne. Ho dovuto fare una deroga leggendo Storie di donne, storie di sport di Giovanni Malagò, ma l’ho fatto solo perché ho sentito il bisogno di scrivergli una lettera aperta a proposito di una sua frase che lasciava presupporre l’esistenza di sport maschili e sport femminili.
La frase era riferita in particolare al rugby femminile, che è uno sport a cui sono particolarmente legato, quindi mi sono sentito un po’ punto sul vivo. Le ragazze sanno che possono sempre contare su di me e che non le lascerò MAI SOLE; il problema qui è quello della verza nel proverbio veneto a me caro.
Che speranze possono avere le atlete italiane (che per legge non sono professioniste) se perfino il presidente del CONI da due mandati e in corsa per il terzo non le considera minimamente? Se sappiamo che da una verza nasce una verza, per una volta proviamo a mettere la verza da parte e diamo una chance alla patata novella? Facciamo almeno una prova.
Anche perché poi succedono casi come quello della pallavolista Lara Lugli, protagonista di una storia emblematica. Una gravidanza equiparata a un tradimento, la società (Volley Pordenone) che rescinde il contratto, nega anche l’ultima mensilità e adduce motivazioni incredibili: “Hai taciuto sulla tua intenzione di avere figli”. Una citazione per danni e un post, alla vigilia della Festa della Donna, che scatena una valanga di reazioni.
Quello dello sport femminile — ripeto: dilettantistico per definizione — è un mondo in cui “restare incinta è considerata una mancanza di professionalità. Come aver assunto cocaina e risultare poi positiva all’antidoping”. Di solito il pesce puzza dalla testa.
Allargando l’orizzonte, e avviandomi alla conclusione, affronterei l’elefante nella stanza: l’educazione sessuale, all’affettività e alla relazione.
Non si riesce (o non si vuole) capire quanto l’educazione e l’informazione siano fondamentali per far crescere i bambini di domani, anche dal punto di vista sentimentale e sessuale: ci si nasconde dietro credenze bigotte, propaganda politica e ammiccamenti alla Chiesa cattolica per evitare di parlare di alcuni temi ancora ritenuti tabù.
Nei giorni scorsi si è parlato molto della Turchia che è uscita dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, cosa che lascia pochi dubbi su un governo che pensa di guadagnare consenso compiendo un gesto del genere (sulla Turchia consiglio Il solco di Valérie Manteau e il libro di Ece Temelkuran che consigliai qui).
Nella Convenzione di Istanbul, che è 2011, ad un certo punto si chiede di introdurre nelle scuole l’educazione all’affettività; proposta che ha ricevuto il secco NO di Grecia e Italia. Facciamoci un esame di coscienza.
L’educazione sessuale e affettiva sono fondamentali nella crescita dell’individuo, ed è stato dimostrato come aiutino a contrastare fenomeni come gravidanze in età adolescenziale e ad abbassare l’incidenza di malattie sessualmente trasmissibili (che, secondo l’Istituto superiore di sanità, negli ultimi anni in Italia sono aumentate, passando dai circa 3500 casi del 2006 ai circa 6500 del 2013). Nei Paesi Bassi l’educazione multidisciplinare alla sessualità comincia a quattro anni, sempre a scuola. E il paese ha la più bassa incidenza di gravidanze tra gli adolescenti e l’età media del primo rapporto sessuale più alta (diciassette anni) di tutta Europa.
Fin da bambini impariamo che darci piacere accarezzando le zone genitali è “sbagliato”: ce lo dicono gli adulti, e chi meglio di loro sa cosa è giusto e cosa no? Cominciamo a pensare che sia una cosa sporca, anche perché quella che tocchiamo è un’area legata alla pipì e alla cacca, sostanze “non nobili”. Ed è così che quel gesto inizia a diventare tabù. Non si dice, non si fa, non se ne parla: sono i primi passi di una diseducazione sessuale.
La carenza di educazione alla sessualità nelle scuole, il mancato dialogo in famiglia su questi temi, l’accesso a internet e il contatto precoce con la pornografia online hanno fatto si che tra le nuove generazioni si diffondessero informazioni non sempre corrette riguardo al sesso. Spesso, infatti, per i ragazzi e le ragazze, la fonte primaria di informazione sull’argomento sono i coetanei e — secondariamente — i siti pornografici.
La prima reazione innata di fronte a quello che non si conosce non è la curiosità, ma la paura. Se non affrontiamo l’ignoto con la giusta cassetta degli attrezzi rischiamo di crescere tanti mini Pillon.
Pensa che britannici e americani hanno un’espressione specifica per la chiacchierata durante la quale si comincia a parlare di sessualità con i figli: The Conversation, con la maiuscola, per eccellenza (da non confondere con “The Talk”, che indica un altro tipo di discorso: quello fatto dai genitori neri ai loro figli), proprio per indicarne la rilevanza e la delicatezza insieme.
L’educazione alla sessualità e all’affettività insegna la relazione e il confronto col prossimo (che può essere partner, figlio/figlia, amico/amica, padre/madre, estranei). Dio sa quanto ne avremmo bisogno.
Se vuoi dei consigli di lettura ispirati pure tra tutti i libri che trovi nell’elenco qui sotto, sono tutti belli. Te ne scrivo qui due che ho già consigliato altrove ma che secondo me vanno davvero bene sempre: Invisibili di Caroline Criado Perez e Dovremmo essere tutti femministi di Chimammanda Ngozi Adichie.
Se cerchi un libro che parla in modo generale ma completo delle tematiche che ho affrontato qui sopra ti consiglio Le ragazze stanno bene di Giulia Cuter e Giulia Perona, oppure Ripartire dal desiderio di Elisa Cuter: perché rivendicare il desiderio è un passaggio profondamente rivoluzionario.
Se vuoi approfondire l’educazione sessuale ti consiglio Vengo prima io di Roberta Rossi: ottimo manuale di consultazione che si legge d’un fiato e su cui ci si può soffermare per riflettere su un tema o su un altro, considerando quanta strada è stata fatta e quanta ancora ce n’è da fare per un’espressione più piena e libera del piacere delle donne.
Puoi leggerlo tutto di seguito oppure selezionando i capitoli che ti interessano di più e poi riprenderlo in un secondo momento. Se hai una relazione puoi leggerlo insieme alla persona con cui stai insieme, ci sono aspetti che riguardano anche lei. Troverai una parte dedicata all’educazione sessuale, per aiutarti ad accompagnare tua figlia in questo percorso, e alle fasi della vita, perché il piacere cambia nel tempo, trova nuove forme: scoprire quali sono può essere rassicurante.
È molto crudo L’evento di Annie Ernaux, dove l’autrice racconta per filo e per segno il suo aborto, però serve per capire che il diritto all’aborto nel 2021 deve essere garantito senza se e senza ma.
In Maternità, Sheila Heti si chiede se desidera o meno un figlio, e se non volerlo può fare di lei una donna a metà. Una considerazione che ovviamente non passerebbe nemmeno per la testa di un uomo. Il tono è molto divertente, ma il tema di fondo è serio. Va detto una volta per tutte: il mito dell’orologio biologico è falso; stiamo dicendo a milioni di donne quando rimanere incinta basandoci su statistiche di un tempo in cui non c’erano l’elettricità, gli antibiotici o alcun tipo di trattamento per la fertilità.
Il libro di Otessa Moshfegh mi ha ricordato American Psycho di Bret Easton Ellis, quindi mi è piaciuto un sacco. Il mio anno di riposo e oblio ha una protagonista che si mette in auto quarantena: ha più o meno metaforicamente previsto la situazione che stiamo vivendo, tanto che l’autrice è stata inserita in un bel pezzo su Vox in cui si raccoglievano le voci dei “plague prophet”.
La matematica è politica di Chiara Valerio me l’ha prestato mia mamma (a proposito degli input esterni) e l’ho sottolineato quasi tutto. Ti lascio qui solo questa frase, per chiudere: “Studiare non serve, studiare comanda”.
Quindi sii pure ignorante, ma quantomeno consapevolmente. È arrivato il momento di imparare che il femminismo non è la difesa delle donne, è la parità dei sessi. Chi non è femminista non è maschilista: è un idiota.
Libri comprati: Manifesto della cura, The Care Collective, Alegre; Israele, mito e realtà, Michele Giorgio e Chiara Cruciati, Alegre; La Q di Qomplotto, Wu Ming 1, Alegre.
Libri letti: Sembrava bellezza, Teresa Ciabatti, Mondadori; Le ragazze stanno bene, Giulia Cuter e Giulia Perona, HarperCollins; Ripartire dal desiderio, Elisa Cuter, Minimum fax; Harvey, Emma Cline, Einaudi; Vengo prima io, Roberta Rossi, Fabbri Editori; Amanti e regine, Benedetta Craveri, Adelphi; Il mio anno di riposo e oblio, Otessa Moshfegh, Feltrinelli; Storie di sport, storie di donne, Giovanni Malagò e Nicoletta Melone, Rizzoli; Bianco è il colore del danno, Francesca Mannocchi, Einaudi; Un inverno a Vienna, Petra Hartlieb, Lindau; Cristina e il suo doppio, Herta Muller, Sellerio; La matematica è politica, Chiara Valerio, Einaudi; L’evento, Annie Ernaux, L’orma; Maternità, Sheila Heti, Sellerio; Felici i felici, Yasmina Reza, Adelphi; Bitch Planet vol. 1 e 2, DeConnick e De Landro, Bao; Paradisi minori, Megan Mayhew Bergman, NNE; Il solco, Valérie Manteau, L’orma.